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L’IMPIEGO DEI CANI DA SALVATAGGIO NAUTICO A BORDO DI UNITÀ NAVALI

(a cura del C.C. Corrado Gamberini, ufficiale della Guardia Costiera,comandante del CP 401)

Se l’attività dei cani addestrati da salvataggio nautico si può definire ancora sperimentale, ancora più sperimentale è l’impiego di tali cani a bordo di unità navali di qualsiasi tipo.

L’esperienza su cui fare riferimento, per la creazione di valide tesi tecnico-operative,è ridotta ai minimi termini. Non fanno testo i vari cani “marinai”, imbarcati su pescherecci oppure da sempre in vacanza insieme alla famiglia in crociera, perché non addestrati al salvataggio nautico; e nemmeno fanno testo i pochi cani addestrati, perché pur eseguendo periodicamente esercitazioni di salvataggio, a volte con l’impiego di gommoni, motovedette della Guardia Costiera o elicotteri, normalmente passano le giornate a terra o sulle spiagge.

Quindi, aggiornandoci all’anno di grazia 1995, gli unici riferimenti su cui impostare il problema tecnico sono cani, brevettati presso la Scuola Italiana Cani da Salvataggio Nautico di Ferruccio Pilenga, che prestano servizio estivo nel Nucleo Cinofilo del Corpo Nazionale Soccorso Marino e tra questi, in particolare, il Pastore Tedesco “Pegaso”, vissuto per i suoi primi due anni di vita a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera di Ancona e che durante il suo servizio, ha già salvato una persona in mare.

Le esperienze sono poche, ma già sufficienti per delineare quali siano le esigenze principali per far navigare un cane addestrato e soprattutto perché questo sia considerato “veramente utile” a bordo.

Alyssha pronta all’intervento su un mezzo dei Vigili del Fuoco

Primo fattore, di importanza basilare, è la caratteristica del cane, che deve essere agile e robusto ma non troppo pesante (si può accettare un peso massimo indicativo di 45/50 Kg). Infatti un grosso cane, oltre ad essere eccessivamente ingombrante in spazi già ristretti per gli umani, presenterebbe enormi problemi nel suo recupero dal mare (da bordo di una grande unità con il ponte alto), tanto da dover attrezzare una piccola gru o paranco; di contro, per quanto riguarda il recupero da un gommone, questo riuscirebbe senza dubbio più facile, ma una mole e un peso eccessivi toglierebbe spazio ad almeno una persona imbarcata, che sarebbe costretta a rimanere a terra.

La razza preferita? Non ha importanza, visto che la scuola di Ferruccio Pilenga accetta qualsiasi razza di cane, non troppo piccolo, che dimostri di avere un minimo di acquaticità e che sia addestrabile. Se poi il cane è destinato a battere le onde, allora è necessario che sia anche agile e leggero. Altra considerazione della massima importanza è il tipo di addestramento che un cane deve avere per rendersi utile a bordo di un mezzo navale. La particolarità di una imbarcazione, infatti, è quella di poter manovrare in acqua fino a portarsi sul naufrago, tanto da recuperarlo senza particolari problemi.

E allora, quando un cane da salvataggio nautico può essere utile? Quando l’unità navale non può raggiungere una certa zona di mare (a causa di bassi fondali, forte corrente in vicinanza di una costa rocciosa, nei pressi di un relitto semi-affondato, ecc.) e non vi sia la possibilità di inviare una persona, spesso anche perché a bordo non è sempre pronto e disponibile un sommozzatore, a digiuno e già vestito di muta. Si provi ad immaginare, ad esempio, un naufrago in stato di semi-incoscienza che, già ferito, viene sbattuto violentemente da grosse onde su un’alta scogliera a picco sul mare, durante una burrasca. Il mezzo navale non può certo avvicinarsi più di tanto, e quale persona (anche se debitamente protetta e munita di pinne) può nuotare fino al naufrago senza rischiare la stessa tragica fine? Un cane addestrato risolverebbe il problema, andando a nuoto (legato ad una cima galleggiante, in gergo “cimato”) sul naufrago per essere poi recuperato, essendo la sua pelle molto più robusta di quella dell’uomo e trovandosi a nuotare in posizione praticamente orizzontale con le zampe rivolte verso il basso (sua posizione naturale), sarebbe anche protetto dagli spuntoni degli scogli semi-affioranti, che invece aprirebbero la pancia di qualsiasi coraggioso umano.

Un bel primo piano di Mafalda, con Matteo, impegnata a riportare a riva il naufrago con l’ausilio del salvagente

E nel caso si dovessero recuperare due ragazzi che hanno scuffiato (rovesciati ndr) con la loro barca a vela per troppo vento, ma l’albero e le vele inclinate sull’acqua non consentissero di avvicinarsi con un gommone? Un cane addestrato potrebbe nuotare fino ai naufraghi e trainarli fino all’imbarcazione di soccorso. Ed ancora, nel caso (frequente nell’Adriatico) di una invasione di piccole meduse, di quelle che “pungono”, come si salverebbe un gruppetto di ragazzi ormai in preda al dolore delle ustioni e, perché no, al panico? Semplice, con un cane addestrato al salvataggio (anche questa volta da inviare “cimato”), visto che le meduse non riescono a “pungere” la sua spessa pelle sotto il folto pelo! Senza andare con la fantasia ad ulteriore ricerca di casi tipici, dove il cane non è solo un ausilio alla persona soccorritrice (è il caso dell’intervento dalla spiaggia del cane con il proprio conduttore) ma partecipa attivamente da solo all’operazione, occorre soffermarsi proprio su quest’ultima considerazione: “… il cane che va da solo…”.

Infatti, perché sia veramente indispensabile una unità cinofila a bordo di un mezzo navale, ipotizzando gli interventi tipici che abbiamo già immaginato, si pone subito in evidenza la comune particolarità dell’azione del cane, cioè deve essere autonomo.

Da qui ne deriva che l’addestramento preventivo deve essere indirizzato ad esercizi particolari: 

  • “in solitario”, senza la presenza necessaria del conduttore in acqua, vicino al cane;

  • con oggetti “a rimorchio” (quali cime galleggianti, galleggianti di salvataggio, salvagenti, oggetti vari) senza che questi, nel nuoto, distraggano l’animale dal suo compito;

  • tuffo da grandi altezze (oltre i 2 metri), con conseguente breve immersione;

  • partenza da riva in presenza di alte onde frangenti, che sommergono completamente l’animale, tutto ciò rigorosamente da solo, senza seguire il proprio conduttore.

Ne derivano anche vantaggi per gli esercizi da eseguire con il conduttore al fianco, quando il cane, ormai abituato a vincere la paura, si lancerà per primo dal ponte di un’imbarcazione o addirittura da un elicottero, senza attendere che il primo a tuffarsi sia proprio il conduttore, perché di questi gli basterà solamente l’ordine: breve, secco, preciso! È ovvio che una tale preparazione richiede sacrificio, tempo, pazienza, ma soprattutto convinzione. Quella stessa convinzione che il cane, oltre ad essere il miglior amico dell’uomo, può dare molto all’uomo, e meglio dell’uomo!

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